Cercasi uova di Pasqua per i bimbi: chi vuole donarle?

Iniziativa solidale per i bimbi accolti nelle nostre strutture

Si avvicina la Pasqua, che per i bambini di ogni latitudine significa, anche, gustose uova di cioccolato…

Per questo, come Caritas Ferrara vi chiediamo di donarci uova (di ogni gusto e dimensione!)  da regalare ai 50 bambini che ospitiamo a Casa Betania e nelle altre strutture di accoglienza in città.

Un piccolo gesto, ma che può regalare un sorriso (e una bella scorpacciata…) ai nostri piccoli.

Le uova verranno loro consegnate durante la festa prevista in prossimità di Pasqua.

Per questo, se interessati, vi chiediamo di portarcele nel nostro Centro di via Brasavola, 19 entro giovedì 6 aprile. Le consegne si possono fare dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 17.

 

Contatti

Telefono:  388-9706494

Mail: info@caritasfe.it

 

 

Comunità accoglienti danno risposte efficaci

Caritas Italiana al Forum Umanitario Europeo e alla 52ma sessione del Consiglio Diritti Umani ONU

Caritas Italiana ha partecipato insieme ad altre Caritas europee al secondo Forum Umanitario Europeo che si è svolto a Bruxelles il 20 e 21 marzo 2023, organizzato dalla Direzione Generale per gli aiuti umanitari e la protezione civile dell’Unione Europea e dalla presidenza del Consiglio Europeo. L’evento è stato un’occasione preziosa per confrontarsi sui temi complessi a cui si è chiamati a rispondere in maniera congiunta alla luce del moltiplicarsi delle crisi umanitarie in tutto il mondo e dell’aumento del divario tra il crescere dei bisogni e dei finanziamenti disponibili. Le sfide legate alla capacità di accedere alle popolazioni e comunità più colpite da disastri naturali e conflitti sono state al centro del dibattito, così come le necessarie riflessioni suscitate dall’aumentare – in quantità e durata – delle crisi che si protraggono nel tempo e di quelle dovute ai cambiamenti climatici, per le quali va sviluppata una maggiore capacità di prevenzione, adattamento, e reazione.

Al centro del dibattito le sfide portate dalle crisi umanitarie e climatiche

Particolarmente significativa è stata la partecipazione di Caritas Venezuela, chiamata a testimoniare la propria esperienza di comunità viva, parte di un territorio che dal 2015 vive in situazione di emergenza, dove i bisogni umanitari coinvolgono più di una persona su due e dove solo nel 2019 la comunità internazionale si è attivata in maniera sostanziale. Prima di questo intervento sono state le comunità e le associazioni locali, come Caritas, che si sono fatte carico di rispondere al meglio, attivando reti di solidarietà vicine e lontane, potendo fare affidamento sulle proprie energie, competenze, conoscenza del territorio e della cultura locale, facendo il possibile ma anche l’impossibile, se si considera che gli stessi soccorritori sono, in questo caso, vittime essi stessi.

I “corridoi umanitari” una risposta sicura e legale al fenomeno delle migrazioni

La centralità delle comunità, in questo caso delle comunità che accolgono, è stato un tema chiave anche dell’intervento di Caritas Italiana a Ginevra il 22 marzo, nell’ambito della 52ma sessione del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, dove abbiamo potuto raccontare l’esperienza dei corridoi umanitari, dei corridori universitari, e del neonato progetto per l’inserimento lavorativo dei rifugiati, di cui Caritas e le comunità di accoglienza lavoreranno insieme per il processo di integrazione. L’esempio dei “corridoi”, per quanto ancora molto limitato nei numeri, è considerato come un esempio virtuoso per potenziare in maniera significativa le vie legali e sicure di accesso in Europa di migranti e richiedenti asilo, fino ad ora uno dei più concreti per combattere traffici illeciti e criminali.

“I corridoi umanitari – lo si ribadisce anche nel comunicato finale della sessione 20-22-marzo del Consiglio Episcopale Permanente – rappresentano al contempo un meccanismo di solidarietà internazionale e un potente strumento di politica migratoria”. I Vescovi italiani ribadiscono che “il diritto alla vita va sempre tutelato e che il salvataggio in mare costituisce un obbligo per ogni Stato”, e ricordano “quanto sia strategica per il bene comune un’accoglienza dignitosa che abbia nella protezione, nell’integrazione e nella promozione i suoi cardini”.
“Accogliere, proteggere, promuovere ed integrare” sono le parole chiave di papa Francesco, che ribadisce quanto il fenomeno della migrazione sia una ferita aperta, a cui rispondere in maniera strutturale, piuttosto che emergenziale.

Sia che si tratti di emergenza, di emergenza prolungata o di fenomeno strutturale, qualsiasi risposta non può prescindere dal coinvolgimento delle comunità e dei territori, a cui devono essere forniti i mezzi per potersi rendere reali protagonisti di riscatto e portatori di pace e dignità.

Silvia Sinibaldi

(da https://www.caritas.it/)

Corridoi umanitari: l’impegno della Chiesa in Italia

Una forma di intervento che è molto più di un modo sicuro e dignitoso per fuggire da situazioni di pericolo

La Chiesa in Italia, che da anni si è impegnata direttamente attraverso Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, ha visto da subito nei corridoi umanitari uno strumento efficace di animazione delle comunità e un modo intelligente di far collaborare tra loro entità diverse per ruolo e responsabilità, dalle Istituzioni governative alle Chiese sorelle (la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia con la Tavola valdese), fino ad organizzazioni come la Comunità di Sant’Egidio.

Il primo protocollo risale al 2017. Da allora ne sono stati firmati quattro: due sono conclusi; il terzo è in fase di esecuzione e il quarto in avvio. L’ultimo gruppo in ordine di tempo è arrivato a Roma, il 23 febbraio scorso: 97 afgani rifugiati in Pakistan, 45 dei quali sono stati accolti, attraverso il progetto proposto dalla Caritas, in sette diocesi italiane.


Dall’inizio del programma dei Corridoi umanitari ad oggi sono state accolte dalla Chiesa in Italia 1.146 persone (di cui 400 minori) provenienti prevalentemente da Eritrea, Somalia, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sudan, Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen.


Si tratta di donne, uomini e bambini in situazioni di pericolo, spesso in fuga da molti anni, rifugiatisi nei campi profughi dei Paesi limitrofi, in Etiopia, Giordania, Niger, Turchia e Pakistan. Sono persone nella stessa condizione di quelle che, nella disperazione, non vedendo altre alternative, si mettono nelle mani dei trafficanti e tentano la traversata del Mediterraneo o altre rotte altrettanto pericolose.

Per un decimo sono donne con bambini; quasi un terzo ha subito tortura; altrettanti sono vittime di persecuzione; uno su dieci è un malato grave o disabile. Poco meno della metà presenta, a causa di storie drammatiche, fragilità psicologiche. Sono queste le sorelle e i fratelli a cui hanno aperto le porte, in questi anni, 62 diocesi italiane.

“Ero straniero e mi avete accolto”: su questo si misura la verità del messaggio annunciato. Non si tratta solamente di dare una casa e un futuro ai rifugiati, ma di mettere alla prova la propria capacità di accoglienza. Ogni comunità che ha accolto e accoglie una persona o una famiglia è stata preparata dalla sua Diocesi e da Caritas Italiana. Si è favorita la conoscenza, si sono promosse, già prima dell’arrivo dei migranti, le relazioni fra le comunità accoglienti e gli accolti. Sono nate esperienze che hanno lasciato un segno nei singoli e aiutato le comunità a crescere e a essere lievito sui territori.

Molto di tutto ciò avviene, deve avvenire, con discrezione. A volte nel silenzio. E tuttavia alcuni numeri non possono essere taciuti. Il 99% delle persone accolte ottiene lo status di rifugiato. L’80% ha già concluso positivamente il suo percorso di integrazione, anche grazie alle centomila ore di lingua italiana impartite, all’impegno di 120 operatori Caritas e al supporto di 400 famiglie “tutor”.

Numeri più piccoli, ma molto significativi per i loro effetti, anche quelli dei Corridoi universitari, che hanno come scopo di garantire a giovani studenti rifugiati (provenienti da Paesi come Etiopia, Eritrea, Somalia, Sud Sudan, Nigeria, Niger, Camerun, Zimbabwe, Mozambico, Sudafrica, Malawi e Zambia) un percorso di ingresso regolare e sicuro per proseguire gli studi accademici in Italia e inserirsi nella vita accademica e nel tessuto sociale locale. Gli studenti rifugiati arrivati in Italia nel corso delle quattro edizioni, dal 2019, sono 140, supportati o accolti in 32 Diocesi. Partner nazionali di Caritas Italiana per questa iniziativa sono il Ministero degli Esteri, l’UNHCR, numerose Università italiane, la Diaconia Valdese, Gandhi Charity e Centro Astalli.


Differenziare i canali di ingresso permette di offrire possibilità diversificate in considerazione delle persone che si incontrano in Paesi terzi, valorizzando al meglio le potenzialità di ciascuno e sostenendone le vulnerabilità.


Avere come unica possibilità di accesso il canale umanitario significa talvolta costringere le persone a “dimostrarsi vulnerabili” per potervi accedere, mentre offrire varie possibilità può permettere di dare valore a tutte le qualità della persona, senza tralasciare in ogni caso una presa in carico delle fragilità e il bisogno di protezione.

Ugualmente importante sarebbe pertanto cominciare ad avviare anche Corridoi per motivi di lavoro, individuando i beneficiari con bisogno di protezione internazionale in Paesi di primo asilo e permettendo loro di accedere legalmente per lavorare in Italia.

In queste esperienze di accoglienza e di alternativa legale e sicura ai viaggi della morte, gli elementi al centro dell’attenzione sono dunque sia la persona che arriva che la comunità, in senso ampio, che la accoglie. La positiva interazione fra di essi contagia, sviluppa un circolo virtuoso nel quale tutte le parti coinvolte sperimentano il beneficio del loro impegno, l’esito generativo della loro esperienza.

(Fonte: https://www.caritas.it/)

Accompagnare la sofferenza: donne e minori ucraini accolti

Abbiamo incontrato Anastasiia, Kateryna e Zinaida, le tre operatrici che nella nostra Caritas da un anno si occupano di questa particolare accoglienza

Come vivere in una terra straniera quando negli occhi e nel cuore si ha l’orrore della guerra?

È la domanda che si pongono tutte le donne e i minori ucraini rifugiati anche a Ferrara dall’inizio di guerra d’invasione della Russia nel loro Paese. Ed è la domanda che si pongono anche le operatrici ucraine in servizio nella nostra Caritas diocesana, Anastasiia Hunina e Kateryna Shumans’ka, che, assieme a Zinaida Ciubotaru, si occupano nello specifico dell’accoglienza dei loro connazionali.

 

Anastasiia Hunina

Anastasiia è originaria della città di Kryvyj, regione di Dopretosk. Laureata in economia, in Ucraina lavorava come contabile. È arrivata a Ferrara nel 2015, lei stessa come profuga a causa della guerra nel Donbass. Qui vive col marito e i loro due figli, di 21 e 11 anni. «Da marzo a settembre 2015 sono stata ospite a Casa Betania, e in un altro appartamento Caritas fino a marzo 2016, quando sono uscita dall’accoglienza». Dopo alcuni lavoretti, nel 2017 viene assunta in Caritas. «Amo aiutare la gente, qui ho trovato uno spirito diverso, uno stile di vita differente».

 

Kateryna Shumans’ka

Kateryna è originaria di Chornukhy, a metà strada tra Kiev e Charkiv. Nel suo Paese si è laureata in Sociologia, prima di arrivare in Italia nel 2005. Nella nostra città, ha lavorato per 12 anni in un hotel e per 1 anno in un ristorante.

«Quando ho saputo che qui in Caritas cercavano una mediatrice culturale, mi sono proposta prima come volontaria per un paio di settimane, per mettermi alla prova, poi lo scorso ottobre sono stata assunta. Ci vuole tanta pazienza, non sempre è facile gestire le persone che accogliamo. Ma anch’io amo molto questo lavoro. Le donne accolte, all’inizio sono un po’ diffidenti, ma dopo alcune settimane il loro sguardo su di noi cambia, non si sentono più minacciate, e allora iniziano a confidarsi, ad affidarsi a noi».

 

Zinaida Ciubotaru

Zinaida, invece, è moldava, originaria di Cimișlia. Vive in Italia da 13 anni ed è laureata in Mediazione linguistica, indirizzo “Difesa e sicurezza sociale” all’Università di Bologna.

Dopo il Servizio civile, la scorsa estate ha svolto un campo estivo nell’oratorio di San Benedetto, prima di essere assunta in Caritas. «All’inizio avevo paura di non farcela, mi sentivo inadeguata. Ora mi trovo benissimo. Il mio desiderio era un impiego nell’ambito dell’immigrazione – ad esempio in Questura -, ma amo lavorare qui soprattutto per il contatto diretto con le persone. Mi piace sentire le loro storie, l’essere vista da loro come un’amica: a volte ti raccontano anche i piccoli dettagli della loro quotidianità».

 

Farle sentire a casa

Attualmente sono 48 le donne e i minori (dai neonati fino agli adolescenti di 16 anni) accolti in Caritas, oltre a due uomini. In 1 anno la nostra Caritas ha accolto in tutto una 60ina di persone. Alcune di loro nel frattempo hanno deciso, nonostante tutto, di tornare in Ucraina. Nei primi mesi dell’emergenza, la nostra Caritas ha gestito l’accoglienza “a distanza”, quando i primi profughi erano accolti nel Camping Florenz di Lido di Pomposa. Due erano le operatrici sul posto: una delle due ha perso il marito in battaglia a Bakhmut.

Dopo questa prima fase emergenziale, gli ucraini sono stati accolti in città: alcuni vivono a Casa Betania, con 25 posti disponibili divisi in 7 unità abitative (4 monolocali, 7 singole al secondo piano, 3 doppie, e l’ex dormitorio). Altri, nell’ex parrocchia di San Giacomo in via Arginone: attualmente al primo piano vivono 9 persone (4 famiglie), mentre al piano terra abitano alcuni detenuti in affidamento. Infine, altri vivono in 4 appartamenti che Caritas ha ricevuto in comodato gratuito da alcuni cittadini.

Il lavoro delle tre operatrici è quello “classico” dell’accoglienza: ascolto della loro storia personale, il cercare di capire le loro necessità più urgenti. Poi, l’accompagnamento per le pratiche e i documenti: la scuola per i minori, i vaccini, l’assistenza medica. I più piccoli trascorrono un breve periodo all’oratorio di San Benedetto, per ambientarsi.

Un’altra difficoltà riguarda la convivenza tra donne o giovani che vengono da culture completamente diverse: «la convivenza tra ucraine e africane, ad esempio, non è scontata», ci spiegano le tre operatrici: «condividono alcuni spazi comuni come la cucina, la lavanderia, ma le abitudini sono diverse». Nonostante ciò, tra loro nascono belle amicizie e gli stessi corsi di italiano e di alfabetizzazione sono frequentati da gruppi misti, per aiutare le donne nella futura integrazione. «Alcuni di loro però – soprattutto gli adolescenti – a volte si rifiutano di imparare l’italiano, fanno quindi più fatica a integrarsi, a reinventarsi. Gli è stato strappato tutto», a partire dalla possibilità di vivere un’adolescenza serena, assieme ai propri amici.

 

La speranza contro l’angoscia

«In generale – ci spiegano Anastasiia e Kateryna – notiamo che le persone qui accolte stanno perdendo la speranza: vedono la guerra allungarsi, nessuna possibilità di pace a breve termine, e il loro Paese distrutto. Alcune donne sono andate per poche settimane in Ucraina per visitare i loro famigliari ma, una volta rientrate a Ferrara, ci hanno detto: “Era meglio se non tornavamo”». Troppa la distruzione e la miseria. «Soprattutto le prime settimane di guerra, ci confidano Anastasiia e Kateryna, è come se fossimo state anche noi in Ucraina, tanta era l’angoscia: non riuscivamo a dormire. Molte persone, con cui siamo in contatto, soffrono di depressione, non sanno per quanto tempo ancora sosterranno mentalmente questa situazione. Alcuni, ci dicono, sono diventati incapaci di provare sentimenti».

Anche per questo, il ruolo delle operatrici Caritas è molto importante nel riuscire a mantenere un filo, pur esiguo, di speranza: «in noi, le donne accolte vedono un’ancora di salvezza, e – sentendo come parliamo bene l’italiano – una speranza che anche loro lo possano imparare». Piccoli passi per sentirsi sempre meno “straniere” e per mitigare – per quanto possibile – l’angoscia che hanno nel cuore.

Molto più di una scuola: l’esperienza educativa a Casa Betania

Elisa e Ornella sono le “maestre” di italiano delle donne accolte in Caritas. E Afsaneh (iraniana) e Aïcha (ivoriana), due studentesse. Ecco le loro storie

 

Qui non si impara solo l’italiano, ma soprattutto ad essere amate, guardate con occhi diversi. Qui le ragazze ridiventano persone, riacquistano uno sguardo su di sé di consapevolezza, di coraggio, di affetto.

Siamo nella scuola/aula studio a Casa Betania, luogo principale dell’accoglienza di donne e minori della nostra Caritas Diocesana.

Elisa Ferraretto lavora qui da un anno e mezzo per insegnare italiano alle ragazze e alle donne accolte. In questo, è aiutata da Ornella Zanardo, volontaria, insegnante di inglese in pensione.

 

Elisa, storia di una vocazione nata dopo la laurea

«Il 5 ottobre 2021 ho iniziato il mio lavoro qui in Caritas». Ci tiene a dirci anche il giorno, Elisa, di quest’esperienza che tanto la sta segnando. Dopo il Liceo Artistico, la Triennale in Antropologia a Bologna e il Master sull’Immigrazione e i fenomeni migratori a Venezia, a Pontecchio Polesine (lei è originaria di quelle zone), Elisa svolge un anno con la Messa a disposizione in una prima elementare, per poi iniziare a lavorare in un altro centro di accoglienza, prima come insegnante di italiano di bambini stranieri, ma nati in Italia, poi come operatrice sociale in una Casa d’accoglienza per ragazzi a Jolanda di Savoia (un progetto SAI – Sistema Accoglienza Integrazione, ex SPRAR). E l’anno scorso per alcuni mesi a Fiesso Umbertiano «ho fatto un corso di italiano ad alcune donne marocchine», corso finanziato dalla Caritas di Rovigo.

Qui «le ragazze ci chiamano “maestra”», e questa cosa la diverte. Ma Elisa non si limita al solo insegnamento: in Caritas gli spazi sono porosi, il quotidiano delle donne che vivono qui non può essere segmentato: «a volte aiuto Marika (Belmonte, Assistente sociale, ndr) per le traduzioni in francese, accompagno le ragazze per sbrigare pratiche, le aiuto con le stesse, dò una mano se le ospiti hanno un problema con la lavatrice…Inoltre, ogni venerdì alcuni bambini ivoriani, che frequentano le Elementari, vengono da me per il doposcuola».

 

Ornella Zanardo, insegnante lo si è per sempre

Ornella è un insegnante di inglese in pensione, e per tanti anni ha prestato servizio all’ITC Bachelet di Ferrara. «Ma dopo un po’ che avevo smesso di lavorare, mi annoiavo e allora passando davanti al Centro Caritas di via Brasavola, ho chiesto informazioni sulla possibilità di fare volontariato e mi han detto che avevano bisogno di un’insegnante». Ornella fa la volontaria per cinque mattine alla settimana: «mi sento utile, è un’esperienza che mi arricchisce molto a livello personale. Ho sempre amato il mio lavoro di insegnante, ma ora è diverso. Mi dà molto anche il cercare di far star bene insieme tra loro le ragazze, il vedere che si aiutano reciprocamente, e l’arricchimento culturale di cui noi stesse insegnanti godiamo. Spesso chiacchieriamo dei piatti tipici dei loro Paesi, ad esempio».

 

Come si svolgono i corsi di italiano

Molte delle ragazze qui accolte, arrivano che sono analfabete, alcune di loro non riescono nemmeno a tenere la matita in mano: attualmente sono una decina, e fanno parte del primo gruppo di studentesse, quelle dell’alfabetizzazione. Poi c’è il gruppo delle A0 (un’altra decina di ragazze), che un po’ sanno scrivere e leggere, il livello A1, il pre-A2 e l’A2, che è il più avanzato, con 3-4 ragazze. Queste ultime studiano per poter fare l’esame di terza media o il B1 di italiano, e così poter provare a lavorare e a inserirsi maggiormente a livello sociale.

Alcune di queste ragazze e donne frequentano il CPIA o, se madri con bimbi piccoli, il Centro “Elefante blu” al Barco. E altre, vorrebbero prendere la patente, o tentare l’esame per diventare bagnine.

Le lezioni – com’è comprensibile – non vengono mai svolte da Elisa e Ornella in maniera rigida, ma sempre con la massima flessibilità, cercando di volta in volta di interpretare le richieste e i bisogni delle singole ragazze. Ragazze che si attaccano molto alle loro “maestre”, vi si affezionano presto, perché finalmente nella loro vita trovano qualcuno che le considera, che vuole loro bene, che le tratta come persone. Abbiamo incontrato due di loro.

 

I sogni di Afsaneh

Una donna, una madre di tre ragazze di 24, 27 e 28 anni, che vivevano nel benessere in Iran. Paese che amano, ma che per la libertà e l’incolumità sua e delle figlie, nel 2019 hanno scelto di lasciare (e con loro l’amato cagnolino), per tentare di rifarsi una vita più libera qui in Italia.

Afsaneh studia al CPIA (ora è al livello A2) e segue i corsi anche a Casa Betania (dove vive con una delle figlie), col desiderio di iniziare quanto prima a lavorare. E Afsaneh ha due passioni: il ricamo e la cucina. Sul suo smartphone ci mostra deliziose calze di lana da lei realizzate, e prelibati piatti tipici iraniani, come il qottab, piccoli dolci fritti ripieni di noci e mandorle, e il kashk, una minestra di ceci, cipolla, verdure e menta.

 

Aïcha, tutta sorriso e coraggio

È arrivata in Italia due anni fa, Aïcha, in uno dei tanti viaggi della fortuna via mare. Ventisei anni, sta studiando per la Licenza Media, e frequenta anche i corsi del CPIA. «Per me – ci dice in un buon italiano – studiare è una grande fortuna. Fortuna che non ho avuto in Costa d’Avorio», suo Paese d’origine. «Non è facile, ma mi piace molto», ci spiega col suo bel sorriso. Il suo sogno, una volta ottenuta la Licenza Media, è di iniziare un corso per OSS.

I migliori auguri, a lei e ad Afsaneh, di poter realizzare ogni loro desiderio.

Giornata della Carità: «da noi, sempre più lavoratori bisognosi»

L’intervista al Direttore Paolo Falaguasta in occasione della Giornata di domenica 12 marzo

 

Direttore, tutti i dati ci dicono che in Italia non esiste solo la cosiddetta “povertà ereditaria” all’interno delle famiglie, ma che la platea dei poveri si allarga sempre di più. Quali sono le cause principali di tutto ciò?

«Innanzitutto, l’inasprimento dei prezzi al consumo, in particolare dei beni alimentari. Il costo della vita è nettamente in aumento. L’attuale Governo sembra intenzionato a voler alzare le pensioni, ma non credo sarà comunque un aumento corposo, sufficiente per contrastare l’aumento dei prezzi. Oltre a ciò, c’è l’incremento delle utenze che rende tutti un po’ più poveri: chi prima sopravviveva in autonomia, ora si trova in difficoltà anche a sopravvivere. Queste famiglie prima non risparmiavano, ora non hanno proprio più nulla da parte, e quindi si rivolgono ai servizi sociali, alla Caritas, o ad altri enti benefici».

 

Qual è la situazione nello specifico di Ferrara? È una tendenza che avete notato anche nella vostra attività quotidiana?

«Quel che vediamo ogni giorno dal nostro “osservatorio” qui in Caritas, è che a chiederci aiuto non sono più solo i poveri “tradizionali” o i disoccupati, ma anche quelli che lavorano: avere casa oggi, ad esempio, è più un debito che una risorsa, dover fare anche dei lavori in casa diventa un salasso per molte famiglie. Alla nostra Caritas, quindi, si rivolgono sempre più anche lavoratori saltuari, precari, stagionali. Come dicevo prima, sono coloro che prima, bene o male, sopravvivevano in autonomia, ma ora non più».

 

Può darci un po’ di dati riferiti a questi nuovi poveri che si rivolgono alla nostra Caritas diocesana?

«Nel 2022 nella sede Caritas di via Brasavola e nelle Caritas parrocchiali sono state 215 le persone assistite che fanno lavori stagionali, a chiamata, oppure stage o tirocini dopo aver perso il lavoro. Solo un anno prima erano 115, e nel 2020 erano 46. E gli occupati che si sono rivolti alle nostre Caritas, negli ultimi tre anni sono stati mediamente 150 all’anno. Interessante anche il numero delle persone da noi assistite in possesso di una laurea, raddoppiato dal 2021 al 2022.

 

E sono in aumento anche gli assistiti totali, considerando tutte le Caritas in Diocesi?

«Purtroppo sì: nel 2019 erano 1089; nel 2020, 1181; nel 2021, 1275; l’anno scorso sono stati ben 250 in più: 1523 persone che si sono rivolte a noi».

 

Il 12 marzo è la Giornata diocesana della Carità. Quale iniziativa avete pensato per quest’anno?

«Sì, il 12 marzo richiameremo l’intera collettività a riflettere sul tema della carità, ad avere consapevolezza che in ogni singola comunità sono tantissime le persone che hanno bisogno di aiuto.

Le donazioni andranno quindi a famiglie con basso reddito: la nostra Caritas diocesana con le offerte della Giornata finanzierà l’acquisto di card alimentari, che andranno a integrare la distribuzione di pacchi viveri, compiuta una volta al mese nel nostro Centro di via Brasavola e nelle varie Caritas parrocchiali».

 

Perché la distribuzione di pacchi viveri non è sufficiente?

«Perché non possiamo distribuire alimenti proteici, come carne e pesce, importanti soprattutto per i bambini. Le card alimentari saranno, quindi, specifiche, per l’acquisto di questi alimenti, attraverso l’accordo con una macelleria o con un supermercato che abbia una macelleria interna.

Mettiamo quindi le persone bisognose in condizione di poter avere una corretta differenziazione alimentare».

 

Materialmente come potrà avvenire la donazione?

«Attraverso un’offerta durante le S. Messe in ogni parrocchia domenica 12 marzo. Oppure, facendo un bonifico sul nostro conto corrente: IT 10R 05387 13004 000 000 006 664 – intestato a Caritas Diocesana di Ferrara-Comacchio – BPER».

 

Infine, in quali altri modi la Caritas diocesana sostiene le famiglie e le persone a basso reddito?

«Attraverso i nostri servizi “tradizionali”: la mensa, la distribuzione dei pacchi viveri, il mercatino della frutta e verdura, e in casi particolari con l’aiuto nel pagamento di utenze o affitti».

 

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Sul nostro sito  (https://www.caritasfe.it/) è possibile trovare tutte le informazioni sulle nostre attività, le modalità per donare e le indicazioni su come diventare volontari. Inoltre, ogni settimana, è possibile trovare aggiornamenti sui servizi e i progetti Caritas.

Caritas Diocesana è anche sui social:

Facebook: https://www.facebook.com/caritasferrara

Instagram: https://www.instagram.com/caritas_ferrara/

 

L’intervista è stata pubblicata anche sul nostro Settimanale diocesano “La Voce di Ferrara-Comacchio” (https://lavocediferrara.it/), edizione n. 9 del 10 marzo 2023

 

Giornata della Carità: una card speciale per le famiglie a basso reddito

L’iniziativa della nostra Caritas diocesana in occasione della Giornata del 12 marzo. Il Direttore Paolo Falaguasta: «da noi, sempre più lavoratori bisognosi»

 

Domenica 12 marzo, III^ Domenica di Quaresima, è in programma la Giornata diocesana della Carità. Si tratta di un’importante occasione per porre il tema della carità al centro del cammino di preparazione alla Pasqua, condividendo i frutti del digiuno e pregando per le persone bisognose.

Come spiega Paolo Falaguasta, Direttore Caritas di Ferrara-Comacchio, «quel che vediamo ogni giorno dal nostro “osservatorio” qui in Caritas è che a chiederci aiuto non sono più solo i poveri “tradizionali” o i disoccupati, ma anche coloro che un lavoro ce l’hanno, seppur saltuario o precario. Si tratta di coloro che prima, bene o male, sopravvivevano in autonomia, ma ora non più, a causa dell’inasprimento dei prezzi al consumo e dell’aumento delle utenze».

Nel 2022 nella sede Caritas di via Brasavola e nelle Caritas parrocchiali sono state 215 le persone assistite che fanno lavori stagionali, a chiamata, oppure stage o tirocini dopo aver perso il lavoro. Solo un anno prima erano 115, e nel 2020 erano 46.

«Il 12 marzo – prosegue – richiameremo l’intera collettività a riflettere sul tema della carità, ad avere consapevolezza che in ogni singola comunità sono tantissime le persone che hanno bisogno di aiuto. Le donazioni raccolte nella Giornata andranno quindi a famiglie con basso reddito: la nostra Caritas diocesana con le offerte ricevute finanzierà l’acquisto di card alimentari, che andranno a integrare la distribuzione di pacchi viveri, compiuta una volta al mese nel nostro Centro di via Brasavola e nelle varie Caritas parrocchiali». Nello specifico, le card alimentari potranno essere utilizzate per l’acquisto di alimenti proteici, come carne e pesce, importanti soprattutto per i bambini, permettendo così alle persone bisognose di poter avere una corretta differenziazione alimentare.

Domenica 12 marzo sarà possibile fare un’offerta durante le S. Messe in ogni parrocchia dell’Arcidiocesi. Oppure, è possibile fare un bonifico sul conto corrente IT 10R 05387 13004 000 000 006 664 – intestato a Caritas Diocesana di Ferrara-Comacchio – BPER.

Sul sito della Caritas di Ferrara-Comacchio https://www.caritasfe.it/ è possibile trovare tutte le informazioni sulle attività, le modalità di donazione e le indicazioni su come diventare volontari. Inoltre, ogni settimana, è possibile trovare aggiornamenti sui servizi e i progetti Caritas.

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Cammini di rinascita: donne e minori verso l’autonomia

Marika Belmonte, Assistente sociale di Caritas Ferrara, ci racconta come avviene l’accompagnamento delle donne e dei minori immigrati accolti a Casa Betania o negli altri appartamenti Caritas

Dalla paura e dall’estrema fragilità alla soddisfazione di percepirsi come soggetti autonomi, in grado di ricostruirsi una vita serena.

È questo il lungo e difficile percorso che compiono le donne ospite del servizio di Accoglienza della nostra Caritas diocesana. E in questo cammino verso la piena consapevolezza di sé e del proprio valore, un ruolo importante lo gioca Marika Belmonte, Assistente sociale in servizio a Casa Betania dal 2021.

«La mia prima esperienza in quest’ambito – ci racconta – risale a un mio tirocinio svolto durante il percorso universitario nella Caritas di Palermo, e poi con altre esperienze di Servizio civile, volontariato, prima di diventare operatrice», fino al trasferimento nella nostra città.

Il compito di Marika consiste nell’accompagnare e sostenere la costruzione di progetti di autonomia individuale, di animazione per i minori e di orientamento all’uso dei servizi territoriali del pubblico e del privato (qui la pagina dedicata all’Accoglienza residenziale).

«Le ragazze che accogliamo qui per la maggior parte arrivano dall’Africa via mare», prosegue. «Il loro arriva qui significa per loro un disorientamento totale». Per questo, è essenziale l’affiancamento nel suo lavoro delle mediatrici linguistico-culturali Sheikh Oyaye Rabbiia (somala), Elisa Ferraretto e Yasmine Belabess.

 

Le tappe della riscossa

Il primo incontro è molto importante e delicato: «serve a far comprendere loro dove si trovano, perché si trovano qui, cosa debbono fare per avere i documenti di identità, per il permesso di soggiorno. E spiego loro cos’è la Caritas». Tenendo in conto che la stragrande maggioranza di loro è analfabeta….

Riguardo alla domanda per chiedere la Protezione Internazionale, «le supporto nella compilazione del modulo per la richiesta e raccolgo la loro storia personale, che viene trascritta e poi allegata alla domanda di asilo». Inoltre, «le supporto nelle fasi che conducono al colloquio con la Commissione Territoriale che deciderà se riconoscere la Protezione Internazionale». Non bisogna dimenticare che si tratta di persone che hanno subito traumi importanti (molte di loro sono passate per i famigerati campi libici), quindi «piene di paura, estremamente fragili, che all’inizio quindi faticano ad aprirsi. Nei primi incontri dalle loro storie emergono molto spesso che sono state vittime di mutilazione dei genitali, di matrimoni forzati, di stupri».

Nel caso non riescano ad ottenere il Permesso di soggiorno, Marika le aiuta anche a preparare il ricorso per il Tribunale. Solitamente, però, questi iter durano anni. Nel frattempo, «cerchiamo di accompagnarle verso l’autonomia», che in molti casi non hanno perso ma mai conosciuto.

Si parte, innanzitutto, con la scolarizzazione base (come detto, per molte di loro significa partire dall’imparare a leggere e a scrivere) e l’insegnamento della lingua italiana. Nonostante i traumi che si portano dentro, «tante volte però – prosegue Marika – ho notato la loro grande forza di volontà, la voglia di vivere, di riscatto, per cui tante di loro dopo 1-3 anni riescono ad imparare l’italiano e a raggiungere una certa formazione».

La seconda fase è quella dell’integrazione lavorativa, «che avviene attraverso il supporto alla ricerca del lavoro, l’aiuto nella compilazione del curriculum vitae, gli incontri di orientamento al lavoro». I primi impieghi che riescono ad ottenere sono lavori stagionali perlopiù in ambito agricolo. Alcune di loro, poi, si iscrivono a corsi professionalizzanti, come quelli per Assistente familiare o OSS.

Vi è poi l’aspetto dell’assistenza sanitaria, in collaborazione col nostro poliambulatorio: «molte arrivano gravide, per cui le nostre ginecologhe le assistono e le preparano al parto». E sono attivi anche il Corso Salute Donna per la prevenzione delle malattie e la campagna di vaccinazione, corsi per la corretta alimentazione, e percorsi specifici per le madri.

Un altro ambito fondamentale per la loro autonomia è quello per l’orientamento al territorio, con incontri ad hoc tenuti da Marika per la gestione delle attività quotidiane riguardanti, ad esempio, il rinnovo della carta d’identità e la ricerca del medico di base.

Riguardo ai minori, il ruolo di Marika consiste nel mantenere i contatti con la scuola che frequentano, con gli insegnanti, con le attività del doposcuola, con le società sportive se scelgono di fare sport. E bisogna considerare che molti di loro sono seguiti anche dalla Neuropsichiatria, per i traumi subiti nelle prigioni libiche, dove spesso nascono e vivono i primi anni di vita.

 

Rinascere a nuova vita

Tutti obiettivi, questi, ci spiega ancora, «che vanno condivisi con la persona interessata, tenendo conto delle differenze culturali spesso rilevanti», ad esempio nell’essere, queste donne, abituate a dipendere totalmente da una figura maschile (il padre, un famigliare, il marito). Il percorso di autonomia, quindi, va costruito pian piano, «facendo acquisire loro sempre maggiore consapevolezza di sé e la conseguente capacità decisionale. E quando riescono ad abbattere questi muri dettati dalle loro consuetudini e dall’educazione ricevuta, e la conseguente paura, è davvero una grande soddisfazione. Ci si affeziona a loro, a volte il distacco non è facile, ma molte di loro tornano a trovarci».

Hamburger solidali grazie a McDonald’s

Ogni giorno fino a Pasqua hamburger e altro destinati a tre Caritas

Una nuova importante donazione per la nostra Caritas diocesana: McDonald’s e Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald donano 350 pasti caldi a settimana ad alcune strutture caritative del territorio che accolgono persone e famiglie in difficoltà, convenzionate con Banco Alimentare dell’Emilia-Romagna. Si tratta della terza edizione di “Sempre aperti a donare” , ora giunta anche nel nostro territorio.

Nella nostra provincia sono coinvolte Caritas di Ferrara, Gruppo Caritas Parrocchiale S. Maria In Aula Regia di Comacchio e Caritas di Penzale, grazie ai ristoranti McDonald’s di Ferrara in via Modena, di Cento in via Matteo Loves e di Comacchio lungo la SS Romea.

Per quanto riguarda la nostra Caritas di Ferrara ogni giorno, dal lunedì al venerdì, il McDonald’s di via Modena dona 40 hamburger (appena fatti), 40 bottiglie di acqua da mezzo litro e 40 confezioni di mele tagliate a fette.  Il tutto viene raccolto dal volontario Claudio in tarda mattinata e distribuito in mensa durante il pranzo. L’iniziativa si concluderà a Pasqua.

Alla Caritas Aula Regia di Comacchio, invece, la raccolta avviene ogni mercoledì mattina al ristorante lungo la Romea, con la donazione di 50 hamburger (appena fatti), 50 bottiglie di acqua da mezzo litro e 50 confezioni di mele tagliate a fette. Martedì, giovedì e sabato queste donazioni vengono distribuite insieme agli altri pacchi viveri dal gruppo Caritas parrocchiale coordinato da fra Juan Maria Tesorero e composto da diversi volontari diretti da Giovanni Farinelli.

Ogni storia è a sé, e va ascoltata: l’Accoglienza delle donne e dei minori

Abbiamo incontrato le operatrici Maria Teresa Stampi ed Elena Brina per farci raccontare la bella e difficile complessità del loro servizio, al di là di ogni estremizzazione e paternalismo

Qui non esistono estremizzazioni, ma solo la bella e drammatica complessità delle piccole cose. Qui le persone, le situazioni, i problemi vanno affrontati «goccia a goccia», con tenacia e pazienza, senza eccessive sovrastrutture, ma lasciando – maieuticamente – venir fuori i bisogni della persona assistita.

È questo il grande insegnamento che ci lasciano Maria Teresa Stampi ed Elena Brina, due delle operatrici della nostra Caritas di Ferrara impegnate nell’Accoglienza di donne e minori.

Accoglienza che ha, dal 2014, ha Casa Betania in via Borgovado come centro, luogo dove vivono donne con minori e donne sole richiedenti asilo, che abbiano un progetto di raggiungimento dell’autonomia e dell’indipendenza. Oltre a questa, Caritas dispone di 9 appartamenti in comodato ad uso gratuito dove in gruppi appartamento (da 4 persone negli appartamenti più piccoli a 12 in quelli più spaziosi) vivono le donne arrivate da più tempo in Italia e con una conoscenza della lingua tale da rendere loro maggiormente indipendenti. In totale, Caritas Ferrara ha 123 posti in accoglienza, attualmente tutti occupati, 50 dei quali sono bambini (e 40 nuclei familiari).

Le informazioni generali sull’Accoglienza in Caritas le potete trovare qui.

 

Biografie parallele

Il racconto della propria storia Elena la fa partire dall’esperienza in parrocchia a Pontelagoscuro con ACR, Gi.mi e con la Caritas parrocchiale. Dopo la laurea in Lingue e Letterature straniere a Unife, e quella Magistrale a Bologna, nel 2013 in Caritas svolge il Servizio Civile: per un anno si occupa del servizio docce, della mensa e della distribuzione dei vestiti, prima di approdare a Casa Betania.

Maria Teresa, invece, dopo la laurea in Psicologia a Padova, nel 2017-2018 ha svolto qui il Servizio civile, ma un’esperienza in Caritas l’aveva già avuta con lo stage svolto negli anni al Liceo Ariosto. Nel 2018 viene assunta come operatrice.

 

Goccia per goccia

«Per un servizio come il nostro ci vuole elasticità mentale, la capacità di confrontarsi sempre con mille imprevisti», ci spiega Maria Teresa. «E a volte ti rendi conto che non sei capace». Una frustrazione che, però, invece che far demordere, diventa sprone per il continuo miglioramento di sé.

«In questo – interviene Elena – siamo aiutati dal fatto che facciamo tanto lavoro di équipe, che ci confrontiamo molto tra noi operatrici e operatori. Dal Direttore ai volontari, quando ci si parla non esistono gerarchie».

Di sicuro, questo è il regno della complessità dell’esistenza: «vediamo davvero tante sfaccettature della nostra società», prosegue. «In un certo senso, il nostro è un punto di vista “privilegiato”, vediamo cioè ciò che c’è nel mezzo. La narrazione dominante fuori di qui, invece, è spesso molto estremizzata, categorizza molto: i poveri o devono essere tutti buoni o tutti cattivi…».

«La vita – si collega Maria Teresa – è fatta di tante piccole cose, è quindi complessa, com’è poi quella di ognuno di noi, non solo dei poveri. E tutte queste piccole cose nel nostro lavoro le dobbiamo considerare, goccia per goccia».

 

Partire dai loro bisogni

Per affrontare questa complessità nel rapporto con la persona bisognosa, prosegue Elena, bisogna superare «l’idea che questa sia “patetica”, che non abbia opinioni, ma solo bisogni». Una sorta di paternalismo, il ridurre il povero solo ai suoi bisogni materiali.

«Qui anche noi non siamo mai esenti dal rischio di partire dal presupposto di capire di cosa il povero necessita», incalza Maria Teresa, «mentre è solo lui che sa di cos’ha davvero bisogno, lui è il miglior conoscitore di sé stesso. Come operatrici possiamo sempre migliorare – continua -, non dimenticando mai di ascoltarli, di chiedere innanzitutto a loro quali sono i loro bisogni. Emotivamente il nostro è un lavoro impegnativo, ed è emozionante quando vediamo i cambiamenti insieme a loro». Com’è bello veder anche nascere amicizie tra le stesse donne accolte, l’aiuto reciproco che si danno.

E la più grande soddisfazione è vederle uscire dal progetto e diventare autonome, donne finalmente libere, che lavorano, divenute – o tornate – capaci di far fronte ai loro bisogni.