Cinquant’anni di Caritas, una storia d’amore: le parole del nostro Vescovo
Giornata mondiale dei poveri – 19 novembre 2023 – Basilica di San Francesco, Ferrara
Omelia di S.E. Mons. Gian Carlo Perego
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
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Cari fratelli e sorelle, cari presbiteri, cari volontari, operatori e operatrici di carità, quest’anno la celebrazione della Giornata dei poveri – il cui tema è l’invito a “Non distogliere lo sguardo dal povero”, da un versetto del Libro di Tobia – cade nell’anniversario dei cinquant’anni della nascita della Caritas diocesana di Ferrara e di Comacchio. Infatti, il 4 e il 6 novembre del 1973 S. E. Mons. Natale Mosconi, mio venerato predecessore, firmava i due decreti istitutivi delle Caritas diocesane di Ferrara e Comacchio, due Diocesi unite in persona episcopi. Questa ricorrenza giubilare diventa l’occasione per continuare a “camminare nella carità”, con uno stile sinodale, animati dalla Parola e dall’esempio del Signore, seguendo la scelta preferenziale dei poveri.
È provvidenziale che la nostra riflessione oggi parta dalla parola di Dio che ci ripropone, con la pagina evangelica di Matteo, la parabola dei talenti. Infatti, questa pagina evangelica precede la pagina evangelica del Giudizio universale, come per dire che l’altruismo, l’amore al prossimo, lo “sguardo al povero” prepara il nostro futuro. I talenti sono doni da condividere, non da nascondere. I talenti aiutano la crescita di una comunità, di una città: vanno spesi. I talenti che si sono trasformati in accoglienza dello straniero, visita al detenuto, cura del malato, attenzione ai poveri vecchi e nuovi costruiscono il presente e preparano il futuro, la vita eterna. Celebrare il cinquantesimo della nascita Caritas è ricordare a noi stessi e alla Chiesa che i doni di intelligenza, di beni che abbiamo in questa vita vanno condivisi, da fratelli, e con i fratelli più poveri. La Caritas è nata per educarci a questo amore, a questa condivisione, a questa scelta preferenziale per i poveri. Nell’udienza del 20 settembre 1972, San Paolo VI, un anno dopo aver fondato la Caritas Italiana, diceva: “Tutta la vita diventa amore. Amore vero, amore puro, amore forte, amore felice. E a questa prima dilezione, ch’è religiosa, come vedete, e non può essere altrimenti, è connessa la seconda, la dilezione del prossimo, sia come scala per salire all’amor di Dio (Cfr. 1 Io. 4, 20; S. Aug. Tract. in Io., 17, 8); sia come motivo per applicare l’attività propria a servizio e a beneficio del prossimo (Cfr. Rom. 13, 8-10;1 Tim. 1, 5). E continuava: “Se noi, noi cristiani avessimo compreso questo Vangelo dell’amore, la sua legge, la sua necessità, la sua fecondità, la sua attualità, non ci lasceremmo sorprendere dal dubbio che il cristianesimo, la nostra fede (Gal. 5, 6) sia incapace a risolvere nella giustizia e nella pace le questioni sociali, ma che occorra attingere questa capacità al materialismo economico, all’odio di classe e alla lotta civile, col pericolo di affogare la nostra professione cristiana nelle ideologie di chi la combatte e di dare alle questioni umane soluzioni amare, illusorie e fors’anche alla fine antisociali e antiumane”.
Purtroppo, queste soluzioni “antisociali e antiumane” che San Paolo VI ricordava ci sono davanti: nel mondo, in Europa, nel nostro Paese, anche nella nostra città. Il cammino della Caritas in questi cinquant’anni ha aiutato la nostra Chiesa a tenere al centro il Vangelo dell’amore, nell’ascolto, coniugato in tante occasioni: dalle emergenze – la prima fu il terremoto del Friuli nel 1976 – all’accoglienza dei profughi e dei rifugiati, dalle mense alle case famiglia, dalla vicinanza ai senza dimora a visita ai carcerati, dall’esperienza degli obiettori di coscienza al servizio civile, per educare uomini di pace, dalle vittime di tratta alle famiglie schiave degli usurai: sono tante le pagine e le storie che la Caritas diocesana ha scritto in questi cinquant’anni, che in maniera originale hanno coniugato il Vangelo dell’amore. La carità si rigenera sempre. La carità crea sempre: crea nuove relazioni, responsabilità diverse, nuovi strumenti, rinnovate situazioni, appassionate denunce. La carità è generativa, non abitudinaria; non ripete semplicemente, ma rinnova, si apre alle sorprese della vita e della storia.
Nell’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco ci ricorda questa varietà e generatività della carità con un esempio molto efficace. “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica”. (F.T.186). Ogni gesto e ogni struttura di carità nella Chiesa hanno al centro la persona e la sua promozione, valorizzazione, coniugando carità e giustizia. Promuovere una persona significa riconoscerne le capacità, significa riconoscere la sua originalità. Il passaggio fondamentale nella Chiesa e nella società del ‘900 è stato quello non solo di creare semplicemente luoghi di assistenza, ma di valorizzare le competenze delle persone povere e fragili e il loro ritorno in città. Le leggi sociali del Dopoguerra in Italia sono tutte segnate da questa preoccupazione: la legge Merlin, la legislazione sul riconoscimento di pari diritti dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge Gozzini e l’alternativa di pena, la legge Basaglia, il nuovo diritto di famiglia, il nuovo sistema sanitario, la legge quadro sull’assistenza: tutte ispirate dalla Costituzione italiana. Il processo si è fermato negli ultimi decenni, anche se formalmente non è venuto meno, ma si è indebolito, un Welfare universalistico, con i cambiamenti demografici, le migrazioni, l’aumento della spesa dello Stato, le privatizzazioni sanitarie. In questo tempo di ripresa e di resilienza occorre favorire strategie e progetti che consentono di non generare dipendenza e clientelismo e al contempo di non dimenticare, lasciare indietro nessuno e, anzi, di valorizzare l’unicità di cui ciascuno è portatore. Per fare questo occorre fare spazio nelle nostre co-progettazioni al contributo della persona in difficoltà, favorendo un’espressione, riconoscimento e sviluppo delle proprie risorse in funzione del raggiungimento di una nuova autonomia. Si tratta di rigenerare l’Welfare secondo una prospettiva nuova che veda anche i soggetti deboli protagonisti di un percorso di rinascita e di realizzazione. La Caritas nella nostra Chiesa e nella società, con il contributo di laici, uomini e donne, preparati e appassionati, deve avere questa capacità educativa e rigenerativa, in forza della fede in Gesù Cristo e della storia della carità nella Chiesa, un diritto sempre difeso.
Oggi la carità si traduce in una responsabilità diffusa, in una prossimità di cura, nella ricerca della giustizia, nel volere la pace nella non violenza, nel guardare al mondo come dono, come ‘creato’. Già il Concilio Vaticano II aveva sottolineato questo impegno di carità come dimensione popolare, sottolineando come nell’oggi la carità si traduce anche in ‘servizi segno’ ricordati al n. 42 della costituzione Gaudium et spes: “Dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anche la Chiesa può, anzi deve suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente degli ultimi, come per esempio opere di misericordia”. Nella stessa linea va anche la seconda parte dell’enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est. “Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio di fedeli laici. Come cittadini dello Stato, essi non posso abdicare alla ‘molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità (…). La carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come “carità sociale” (D.C.E.29).
Cari fratelli e sorelle, cari presbiteri, cari volontari e operatori di carità, mentre ricordiamo cinquant’anni di cammino di carità, con i sacerdoti che l’hanno guidata e ci hanno lasciato – da Mons. Francesco Ravagnani a don Silvio Padovani, da don Virginio Sacco a don Paolo Valenti – e i molti laici e meravigliosi volontari collaboratori, l’ultimo dei quali che ci ha lasciato è stato Giorgio Forini, il Signore ci accompagni a continuare in maniera originale questo cammino di carità, con un rinnovato sguardo al povero, volto di Cristo, come ci ricorda papa Francesco: “La fede ci insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui o in lei è presente Cristo”. Così sia.