Sognare la speranza: Iryna, Yurii e i loro figli in fuga dall’Ucraina
Abbiamo incontrato i due coniugi scappati dal Paese in guerra e ospitati dalla Caritas di Ferrara. Il racconto di Yurii sui suoi mesi al fronte e il tentativo di ricostruire una normalità
Piovono i missili russi sulle vite di Iryna, Yurii e dei loro tre figli. Ancora rimbombano nei loro ricordi nonostante la lontananza. Il pianto e lo smarrimento riaffiorano. La loro terra è lontana e ancora intrisa di sangue.
Oltre un anno fa, a fine febbraio, Iryna è stata la prima tra i profughi arrivati a Ferrara ad essere accolta dalla nostra Caritas assieme ai tre figli Bohdan (14 anni), Diana (10) e Vitalii (8). Il marito Yurii, invece, ha scelto di rimanere nel loro Paese, per difenderlo. Solo lo scorso dicembre ha raggiunto moglie e figli nella nostra città.
La donna e i tre bambini hanno vissuto prima in un appartamento in zona Arianuova, poi, una volta partito il Progetto Emergenza Ucraina, all’Arginone negli ambienti dell’ex parrocchia. Ora tutti e quattro risiedono in un altro appartamento. Fino a giugno scorso, i tre figli seguivano on line le lezioni, collegandosi con compagni e insegnanti della loro scuola di Ivano-Frankivs’k, nell’ovest del Paese, dove la famiglia viveva serenamente fino all’inferno scatenato dal regime putiniano. Da aprile 2022, la Smiling International School di Ferrara ha proposto di accogliere gratuitamente i due più piccoli, per permettere loro di proseguire gli studi. La scorsa estate tutti e tre hanno frequentato il campo estivo della parrocchia di San Benedetto. Anche i loro genitori necessitano di studiare per imparare l’italiano: frequentano, infatti, sia i corsi al CPIA sia quelli della nostra Caritas a Casa Betania. Iryna ha svolto un tirocinio di 6 mesi nella Scuola d’infanzia paritaria “G.S. Barbieri“ in zona San Giorgio (era insegnante anche in Ucraina), mentre Yurii ora lavora come operaio nell’azienda Salvi, nonostante nel suo Paese fosse Direttore del Centro Servizi Amministrativo di un ente pubblico.
In fuga dalle bombe
I primi giorni dell’invasione russa, in quel terribile febbraio 2022, un missile cade a pochi km dalla loro casa. «Abitavamo vicino all’aeroporto – ci spiegano Iryna e Yurii -, e i russi già bombardavano obiettivi civili». All’inizio Iryna non vuole partire. Ma i pericoli sono troppi: il 26 febbraio lascia l’Ucraina assieme ai propri figli e a sua cognata. È Yurii ad accompagnarli al confine: un viaggio lungo ed estenuante verso il confine con l’Ungheria, per una famiglia che fino a poche ore prima viveva una normale esistenza nella propria città. Ora, invece, ha davanti a sé decine di km macchine in coda per scappare. «Per attraversare 800 metri di confine, abbiamo dovuto aspettare 8 ore, dalle 4 del mattino a mezzogiorno». A quel punto, alcuni amici della cognata che abitano a Ferrara vanno a prenderli al confine e li portano qui, al sicuro.
Yurii, invece, rimane e per difendere la propria patria si presenta a un centro di reclutamento come volontario, non aspettando nemmeno la chiamata dall’esercito. È l’8 marzo. Quattro giorni dopo, assieme ad altri viene portato a Borodjanka nell’oblast’ di Kiev. A quei tempi, il fronte più caldo della guerra.
Resistere a Borodjanka (e quella croce su Telegram)
Borodjanka, a circa 50 chilometri da Kiev, è una delle prime città a essere catturate dalle colonne russe in avanzata verso la capitale. Gli invasori la radono al suolo e compiono ogni orrore: vengono trovate anche fosse comuni con corpi di civili. I russi sparano a bruciapelo contro le auto di chi scappa, come testimoniano le carcasse abbandonate e poi schiacciate dai carri armati. Qui, in questo inferno, Yurii le prime tre settimane le passa in trincea o ospite nelle case, quel che offre la Provvidenza. In pochi giorni vede arrivare i mezzi militari russi, a quel tempo ancora molti di più rispetto a quelli di cui gli ucraini potevano disporre prima dell’invio di aiuti da altri Paesi. Da metà marzo a fine aprile 2022, per Yurii è «un periodo particolarmente duro e difficile». Ma all’inizio, tiene nascosto alla moglie e ai figli che sta combattendo, per non farli impensierire. “Ci fanno esercitare”, dice a Irina. E poco dopo: “non ci sarà connessione nei prossimi giorni…”. Ma un giorno un comandante lo riconosce, gli scatta una foto e la fa avere a Iryna. In quel momento lei capisce che è sul fronte. Dopo qualche giorno riescono a telefonarsi. Nel frattempo, loro due assieme ad altri uomini sul fronte e alle loro mogli si tengono in contatto in un gruppo su Telegram. Le donne, ogni giorno, attendono di vedere comparire il simbolo della croce: è il segno che non ci sono stati morti.
Nel Donbass: il missile, il ricovero
A maggio, Yurii viene spostato assieme ad altri nel Donbass: prima a Severo-Donetsk, poi a Bakhmut e Lisichansk. Un giorno, un missile esplode a 4 metri da lui: non viene sobbalzato perché disteso, ma l’esplosione gli provoca comunque un grave stato confusionale. «Soprattutto in quel periodo, il lancio di missili russi era imponente, continuo. Bombardavano anche per un giorno di fila», ci racconta. A giugno Yurii viene congedato per le conseguenze dell’esplosione, e ricoverato per due settimane nel vicino ospedale di Družkivka. Poi torna al fronte, ma dopo altre tre settimane viene congedato: ha problemi di cuore e le conseguenze psicologiche di quei mesi al fronte si fanno sentire. Da giugno a dicembre è spostato in un settore amministrativo-burocratico dell’esercito. «Non posso, però, dire in che zona, per motivi di sicurezza».
Sognare che l’orrore abbia fine
Poi a dicembre Yurii viene congedato e decide di raggiungere la famiglia a Ferrara. Il 1° ottobre, infatti, era entrata in vigore la legge che permetteva il licenziamento dei soldati con tre o più figli minorenni. Iryna non ha detto ai tre bambini che il padre gli avrebbe raggiunti, anche per paura che ci potesse essere qualche problema ai confini. Yurii arriva nella nostra città in una fredda mattina di dicembre: sono le 5, i figli, ancora assonnati – ci racconta Iryna -, «nel vederlo all’improvviso erano talmente sconvolti che per alcuni istanti non riuscirono nemmeno a gridare di gioia: pensavano fosse un sogno».
«Ora siamo più sereni», ci dicono i due. Il pensiero di tornare nella propria terra è ancora lontano, il frastuono delle bombe non cessa. «Chi vivrà, vedrà», dice, con realismo, Yurii. Con realismo e una nota di speranza, meno rumorosa dei missili ma molto più tenace.