Corridoi umanitari: l’impegno della Chiesa in Italia
Una forma di intervento che è molto più di un modo sicuro e dignitoso per fuggire da situazioni di pericolo
La Chiesa in Italia, che da anni si è impegnata direttamente attraverso Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, ha visto da subito nei corridoi umanitari uno strumento efficace di animazione delle comunità e un modo intelligente di far collaborare tra loro entità diverse per ruolo e responsabilità, dalle Istituzioni governative alle Chiese sorelle (la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia con la Tavola valdese), fino ad organizzazioni come la Comunità di Sant’Egidio.
Il primo protocollo risale al 2017. Da allora ne sono stati firmati quattro: due sono conclusi; il terzo è in fase di esecuzione e il quarto in avvio. L’ultimo gruppo in ordine di tempo è arrivato a Roma, il 23 febbraio scorso: 97 afgani rifugiati in Pakistan, 45 dei quali sono stati accolti, attraverso il progetto proposto dalla Caritas, in sette diocesi italiane.
Dall’inizio del programma dei Corridoi umanitari ad oggi sono state accolte dalla Chiesa in Italia 1.146 persone (di cui 400 minori) provenienti prevalentemente da Eritrea, Somalia, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sudan, Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen.
Si tratta di donne, uomini e bambini in situazioni di pericolo, spesso in fuga da molti anni, rifugiatisi nei campi profughi dei Paesi limitrofi, in Etiopia, Giordania, Niger, Turchia e Pakistan. Sono persone nella stessa condizione di quelle che, nella disperazione, non vedendo altre alternative, si mettono nelle mani dei trafficanti e tentano la traversata del Mediterraneo o altre rotte altrettanto pericolose.
Per un decimo sono donne con bambini; quasi un terzo ha subito tortura; altrettanti sono vittime di persecuzione; uno su dieci è un malato grave o disabile. Poco meno della metà presenta, a causa di storie drammatiche, fragilità psicologiche. Sono queste le sorelle e i fratelli a cui hanno aperto le porte, in questi anni, 62 diocesi italiane.
“Ero straniero e mi avete accolto”: su questo si misura la verità del messaggio annunciato. Non si tratta solamente di dare una casa e un futuro ai rifugiati, ma di mettere alla prova la propria capacità di accoglienza. Ogni comunità che ha accolto e accoglie una persona o una famiglia è stata preparata dalla sua Diocesi e da Caritas Italiana. Si è favorita la conoscenza, si sono promosse, già prima dell’arrivo dei migranti, le relazioni fra le comunità accoglienti e gli accolti. Sono nate esperienze che hanno lasciato un segno nei singoli e aiutato le comunità a crescere e a essere lievito sui territori.
Molto di tutto ciò avviene, deve avvenire, con discrezione. A volte nel silenzio. E tuttavia alcuni numeri non possono essere taciuti. Il 99% delle persone accolte ottiene lo status di rifugiato. L’80% ha già concluso positivamente il suo percorso di integrazione, anche grazie alle centomila ore di lingua italiana impartite, all’impegno di 120 operatori Caritas e al supporto di 400 famiglie “tutor”.
Numeri più piccoli, ma molto significativi per i loro effetti, anche quelli dei Corridoi universitari, che hanno come scopo di garantire a giovani studenti rifugiati (provenienti da Paesi come Etiopia, Eritrea, Somalia, Sud Sudan, Nigeria, Niger, Camerun, Zimbabwe, Mozambico, Sudafrica, Malawi e Zambia) un percorso di ingresso regolare e sicuro per proseguire gli studi accademici in Italia e inserirsi nella vita accademica e nel tessuto sociale locale. Gli studenti rifugiati arrivati in Italia nel corso delle quattro edizioni, dal 2019, sono 140, supportati o accolti in 32 Diocesi. Partner nazionali di Caritas Italiana per questa iniziativa sono il Ministero degli Esteri, l’UNHCR, numerose Università italiane, la Diaconia Valdese, Gandhi Charity e Centro Astalli.
Differenziare i canali di ingresso permette di offrire possibilità diversificate in considerazione delle persone che si incontrano in Paesi terzi, valorizzando al meglio le potenzialità di ciascuno e sostenendone le vulnerabilità.
Avere come unica possibilità di accesso il canale umanitario significa talvolta costringere le persone a “dimostrarsi vulnerabili” per potervi accedere, mentre offrire varie possibilità può permettere di dare valore a tutte le qualità della persona, senza tralasciare in ogni caso una presa in carico delle fragilità e il bisogno di protezione.
Ugualmente importante sarebbe pertanto cominciare ad avviare anche Corridoi per motivi di lavoro, individuando i beneficiari con bisogno di protezione internazionale in Paesi di primo asilo e permettendo loro di accedere legalmente per lavorare in Italia.
In queste esperienze di accoglienza e di alternativa legale e sicura ai viaggi della morte, gli elementi al centro dell’attenzione sono dunque sia la persona che arriva che la comunità, in senso ampio, che la accoglie. La positiva interazione fra di essi contagia, sviluppa un circolo virtuoso nel quale tutte le parti coinvolte sperimentano il beneficio del loro impegno, l’esito generativo della loro esperienza.
(Fonte: https://www.caritas.it/)