Accompagnare la sofferenza: donne e minori ucraini accolti

Abbiamo incontrato Anastasiia, Kateryna e Zinaida, le tre operatrici che nella nostra Caritas da un anno si occupano di questa particolare accoglienza

Come vivere in una terra straniera quando negli occhi e nel cuore si ha l’orrore della guerra?

È la domanda che si pongono tutte le donne e i minori ucraini rifugiati anche a Ferrara dall’inizio di guerra d’invasione della Russia nel loro Paese. Ed è la domanda che si pongono anche le operatrici ucraine in servizio nella nostra Caritas diocesana, Anastasiia Hunina e Kateryna Shumans’ka, che, assieme a Zinaida Ciubotaru, si occupano nello specifico dell’accoglienza dei loro connazionali.

 

Anastasiia Hunina

Anastasiia è originaria della città di Kryvyj, regione di Dopretosk. Laureata in economia, in Ucraina lavorava come contabile. È arrivata a Ferrara nel 2015, lei stessa come profuga a causa della guerra nel Donbass. Qui vive col marito e i loro due figli, di 21 e 11 anni. «Da marzo a settembre 2015 sono stata ospite a Casa Betania, e in un altro appartamento Caritas fino a marzo 2016, quando sono uscita dall’accoglienza». Dopo alcuni lavoretti, nel 2017 viene assunta in Caritas. «Amo aiutare la gente, qui ho trovato uno spirito diverso, uno stile di vita differente».

 

Kateryna Shumans’ka

Kateryna è originaria di Chornukhy, a metà strada tra Kiev e Charkiv. Nel suo Paese si è laureata in Sociologia, prima di arrivare in Italia nel 2005. Nella nostra città, ha lavorato per 12 anni in un hotel e per 1 anno in un ristorante.

«Quando ho saputo che qui in Caritas cercavano una mediatrice culturale, mi sono proposta prima come volontaria per un paio di settimane, per mettermi alla prova, poi lo scorso ottobre sono stata assunta. Ci vuole tanta pazienza, non sempre è facile gestire le persone che accogliamo. Ma anch’io amo molto questo lavoro. Le donne accolte, all’inizio sono un po’ diffidenti, ma dopo alcune settimane il loro sguardo su di noi cambia, non si sentono più minacciate, e allora iniziano a confidarsi, ad affidarsi a noi».

 

Zinaida Ciubotaru

Zinaida, invece, è moldava, originaria di Cimișlia. Vive in Italia da 13 anni ed è laureata in Mediazione linguistica, indirizzo “Difesa e sicurezza sociale” all’Università di Bologna.

Dopo il Servizio civile, la scorsa estate ha svolto un campo estivo nell’oratorio di San Benedetto, prima di essere assunta in Caritas. «All’inizio avevo paura di non farcela, mi sentivo inadeguata. Ora mi trovo benissimo. Il mio desiderio era un impiego nell’ambito dell’immigrazione – ad esempio in Questura -, ma amo lavorare qui soprattutto per il contatto diretto con le persone. Mi piace sentire le loro storie, l’essere vista da loro come un’amica: a volte ti raccontano anche i piccoli dettagli della loro quotidianità».

 

Farle sentire a casa

Attualmente sono 48 le donne e i minori (dai neonati fino agli adolescenti di 16 anni) accolti in Caritas, oltre a due uomini. In 1 anno la nostra Caritas ha accolto in tutto una 60ina di persone. Alcune di loro nel frattempo hanno deciso, nonostante tutto, di tornare in Ucraina. Nei primi mesi dell’emergenza, la nostra Caritas ha gestito l’accoglienza “a distanza”, quando i primi profughi erano accolti nel Camping Florenz di Lido di Pomposa. Due erano le operatrici sul posto: una delle due ha perso il marito in battaglia a Bakhmut.

Dopo questa prima fase emergenziale, gli ucraini sono stati accolti in città: alcuni vivono a Casa Betania, con 25 posti disponibili divisi in 7 unità abitative (4 monolocali, 7 singole al secondo piano, 3 doppie, e l’ex dormitorio). Altri, nell’ex parrocchia di San Giacomo in via Arginone: attualmente al primo piano vivono 9 persone (4 famiglie), mentre al piano terra abitano alcuni detenuti in affidamento. Infine, altri vivono in 4 appartamenti che Caritas ha ricevuto in comodato gratuito da alcuni cittadini.

Il lavoro delle tre operatrici è quello “classico” dell’accoglienza: ascolto della loro storia personale, il cercare di capire le loro necessità più urgenti. Poi, l’accompagnamento per le pratiche e i documenti: la scuola per i minori, i vaccini, l’assistenza medica. I più piccoli trascorrono un breve periodo all’oratorio di San Benedetto, per ambientarsi.

Un’altra difficoltà riguarda la convivenza tra donne o giovani che vengono da culture completamente diverse: «la convivenza tra ucraine e africane, ad esempio, non è scontata», ci spiegano le tre operatrici: «condividono alcuni spazi comuni come la cucina, la lavanderia, ma le abitudini sono diverse». Nonostante ciò, tra loro nascono belle amicizie e gli stessi corsi di italiano e di alfabetizzazione sono frequentati da gruppi misti, per aiutare le donne nella futura integrazione. «Alcuni di loro però – soprattutto gli adolescenti – a volte si rifiutano di imparare l’italiano, fanno quindi più fatica a integrarsi, a reinventarsi. Gli è stato strappato tutto», a partire dalla possibilità di vivere un’adolescenza serena, assieme ai propri amici.

 

La speranza contro l’angoscia

«In generale – ci spiegano Anastasiia e Kateryna – notiamo che le persone qui accolte stanno perdendo la speranza: vedono la guerra allungarsi, nessuna possibilità di pace a breve termine, e il loro Paese distrutto. Alcune donne sono andate per poche settimane in Ucraina per visitare i loro famigliari ma, una volta rientrate a Ferrara, ci hanno detto: “Era meglio se non tornavamo”». Troppa la distruzione e la miseria. «Soprattutto le prime settimane di guerra, ci confidano Anastasiia e Kateryna, è come se fossimo state anche noi in Ucraina, tanta era l’angoscia: non riuscivamo a dormire. Molte persone, con cui siamo in contatto, soffrono di depressione, non sanno per quanto tempo ancora sosterranno mentalmente questa situazione. Alcuni, ci dicono, sono diventati incapaci di provare sentimenti».

Anche per questo, il ruolo delle operatrici Caritas è molto importante nel riuscire a mantenere un filo, pur esiguo, di speranza: «in noi, le donne accolte vedono un’ancora di salvezza, e – sentendo come parliamo bene l’italiano – una speranza che anche loro lo possano imparare». Piccoli passi per sentirsi sempre meno “straniere” e per mitigare – per quanto possibile – l’angoscia che hanno nel cuore.